Mario Carratta
Socio del Centro Culturale ARTENOVA
Biografia
Fin da giovanissima età Mario Carratta, classe 1953, comincia a sviluppare notevole climestichezza con l’artigianato in senso ampio e col figuratismo in senso proprio, inclinazione che instrada i suoi studi verso il Liceo Artistico Statale cli Lecce e lo pone al di fuori della piuttosto ristretta realtà del paese natale, Ugento – e con questo non s’intende certo detrarre importanza a luoghi e esperienze che hanno risonanza poi nell’intera misura della vita, a ricordi e aneddoti che tessono l’ordito inconscio della personalità artistica.
Appresi dunque i fondamenti accademici dell’arte figurativa nella sua molteplicità di tecniche, prosegue l’iter scolastico con un altro cambio di registro, per così dire, presso la facoltà di architettura dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, indirizzo nel quale climostra fra l’altro grande predisposizione per la Composizione Architettonica. Terminato il servizio di leva si dedica a tempo pieno alla pittura, vivendo un periodo di sperimentalismi collocabile grossomodo a cavallo tra i ’70 e gli ’80: vi troviamo non solo ritratti umani e nudi di donna – categorie classiche che, in quanto tali, difficilmente avvizziscono perdendo vigore espressivo, e costituiscono anzi un fertile terreno per continue innovazioni stilistiche -, ma anche più inconsueti soggetti biblico-visionari, per così definirli, dove su tele di vastissimo formato si espandono bluastre creazioni del mondo e universi onirici popolati da covoni di grano venuti fuori direttamente dal Libro della Genesi. Le grandi pennellate – ognuna portatrice cli una identità propria -, nel loro connubio di autonomia e reciproca funzionalità, possono essere concettualmente assimilate alle squame di una pelle di serpente che concorrono a formare l’immagine della realtà apparente, e in queste vere e proprie textures i dipinti di questo periodo trovano la loro cifra distintiva.
Nel corso degli anni ’80 e ’90 comincia a lavorare anche su nuovi materiali, mettendo a punto una speciale e personalissima tecnica di incisione e pittura su lastre cli granito con trapani cli precisione e polvere di ossidi, spaziando da soggetti religiosi in stile Raffaello a paesaggi urbani cli architettonica rilevanza. Nel contempo va perfezionando la tecnica classica dell’olio su
tela, e non mancano numerosi esempi di realismo né esperimenti di iperrealismo. Inoltre, essendo stato da bambino a bottega presso un falegname, il legno esercita certamente su di lui una certa atavica fascinazione e, al di là cli alcuni cimenti con l’arte del bassorilievo, si declica con grande costanza e intensità alla pirografia su tavola (ossia il clisegno e incisione per mezzo di punte metalliche arroventate): tale tecnica gli consente la realizzazione di scorci cittadini e rurali con notevole eterogeneità di segno e dovizia di dettagli nella riproduzione di particolari quali mattonati, lastricati, fogliami, etc.
Il catalogo delle opere comprende certo anche innumerevoli disegni su carta, a matita e ancor più spesso a carboncino, molti dei quali dedicati a vedute della città natale e dei luoghi d’infanzia, ma la tecnica prediletta e mai abbandonata, quella dell’olio su tela, è andata sempre più affinandosi verso un figuratismo che, ben lontano dal prono fotografismo o dal piatto realismo, fa vivere i soggetti di una pennellata – o talvolta di una spatolata – sempre fresca e di un uso spiccatamente materico del colore.
In una dimensione pittorica in cui illustrazione non è più, secondo la lezione vangoghiana, semplice riproduzione dell’apparire bensì un apparire che allude al concetto di sé, che disvela l’idea di sé, che esaspera i propri gesti e si racconta, sulle tele di Mario Carratta spesso i paesaggi sembrano illustrarsi, narrarsi da soli, e allora, che si tratti cli colline coltivate a nocciole, o cli vasti monti su cui si annidano ragni e rari gruppi di case, di schiumanti onde marine o cli uggiose visioni della città cli notte – nelle quali lampioni riflessi sul manto stradale bagnato ci parlano di tutte le volte che siamo tornati a casa la sera d’inverno, pugni in tasca e testa persa fra i bilanci di fine giornata -, una spontanea indefinitezza di forme e colori ci sussurra e ci persuade che la realtà non ha fine là dove l’occhio può sperare di spingersi con la semplice interpretazione della luce riflessa dal mondo tangibile.
Perché non tutto è luce e ombra.
Aleck Carratta